In
una sera inutile come tante altre, camminavo con addosso quella
leggerezza che solo la malinconia riesce ad infondere quando, ad
un tratto, mi squillò il telefonino. Lo gettai in un cassonetto,
non volevo essere disturbato.
Mi allontanai senza fretta, mentre
pian piano il trillo veniva inghiottito dalla notte, strozzato dal
recipiente metallico. Presi a pensare ai telefoni, a come in pochi
anni tutto fosse cambiato. E non mi attardai a ragionare dei cellulari
o di come fossero svaniti gettoni e cabine pubbliche. No, ragionavo
sulla trasformazione dei numeri di telefono. Quando nacqui esisteva
solo il telefono fisso, ricordo ancora il numero: 32243. Poi qualcosa
cambiò, c’era la necessità di aumentare le utenze
e venne introdotto il prefisso 52: il nuovo numero divenne 5232243.
Mi venne da sorridere, già allora Venezia si stava spopolando
eppure servivano più utenze. Da lì a qualche anno
anche il prefisso per le interurbane venne inglobato nel numero.
Non ricordo se feci ora a vedere la nascita del mega numero, forse
mi ero già trasferito al Lido ereditando, oltre ad un nuovo
indirizzo, un nuovo numero di telefono. Fatto sta che Venezia continuava
inesorabilmente a svuotarsi e questa ulteriore novità non
poté che suggerirmi un altro amaro sorriso.
Proseguii nella mia passeggiata
quando, ad un tratto, inciampai in un foglietto appallottolato.
Non scivolai, ma propriamente inciampai. “Come è possibile
incespicare in un pezzo di carta?” mi chiesi mentre mi rialzavo.
Stupito e incuriosito spiegai la pagina e lessi quanto vi era scritto.
Puzzava di urina.
«Il mare è bello, fiero, possente. In una parola è
maschio, pieno di voglia di apparire, di eccellere, di imporsi.
È anche un buon partito, è ricco, ricco di pesci,
alghe e acqua. Han provato a svilirlo ricordandogli, pensando a
Marghera, che è acqua malsana. Ma il mare, seppur ferito,
ha risposto con il suo orgoglio e i trucchi degli umani: “Quella”
ha detto, “non è mare, è laguna”.
Venezia è donna, bella di una bellezza eterna. Passano gli
anni, aumentano le violenze e le umiliazioni, ma Venezia accetta
tutto con dignità, con l’aristocratica fierezza di
una nobildonna di altri secoli. Venezia è anche popolana,
non scordiamolo, e non risparmia improperi impronunciabili ai suoi
dispregiatori.
Venezia è una nonna che vive dei ricordi dei tempi andati,
si guarda le vesti e, seppur tessuti secoli fa, sono ancora eleganti
e inimitabili. Superano la moda perché mai sono stati di
moda. E non può che essere così, i suoi indumenti
provengono da luoghi lontani, da culture lontane…una finestra
araba, una colonna bizantina, una chiesa barocca e così via.
È per questo che Venezia non si è indispettita per
il quarto ponte. Così semplice, così poco invadente,
così periferico…è come se un’anziana signora,
tutta gioielli e monili, indossasse un anello di legno…stonerebbe
di certo…ma se fosse l’affettuoso regalo di un nipotino,
non sarebbe felice di tenerselo al dito?
E il mare non può che innamorarsi di una donna così,
e puntualmente la viene a baciare. I puritani dicono che non si
tratta di un gesto d’amore, l’acqua che sorpassa le
rive è una violenza, una prepotenza tipicamente maschile.
Dicono che anche il mare, come ogni maschio, pone il suo egoistico
possesso al di sopra di tutti e di tutto. Ma se fosse così,
cari miei, l’avrebbe già avuta, l’avrebbe già
rapita. Il ’66?..la follia di un giovane innamorato…un’eccezione.
E poi alla fine si tratta di baciarle le caviglie, mai il mare si
è spinto più in alto…e tutti sappiamo che ben
più in alto si incontra la sensualità autentica della
città.
E Venezia? Venezia è tentata di cedere alle lusinghe del
mare...sarebbe la fine di tante umiliazione…significherebbe
accasarsi in un luogo sicuro, protetta da un uomo affascinante e
potente…un buon partito tra l’altro.
E i suoi abitanti? Giriamo la domanda…cosa fanno i suoi abitanti
per conquistarsi il suo amore e i suoi servigi? Cosa fanno per proteggerla?
Soprassediamo.
Ma il mare è un uomo onesto, non vuole prenderla con la forza,
non vuole recare danno ai suoi abitanti. Quindi attende…aspetta
per vedere se quei meschini faccendieri si svegliano, impugnano
la spada e iniziano a difendere la loro città, mettendo a
repentaglio i loro miseri affarucoli e, se necessario, anche la
loro stessa vita.
Per ora il mare ha sentito parlare solo di “dighe mobili”,
quasi fosse l’antagonista il problema, non la coscienza dei
suoi abitanti. Concorrenza scorretta direte…il mare risponde
con un sorriso…lui conosce la sua forza (diversamente dai
veneziani che non conoscono la loro debolezza).
Venezia aspetta, un po’ civetta con i due contendenti, un
po’rispettosa dei padri di questi ereditieri…i padri,
quelli sì sapevano cosa significa “amare”.
Stai allegra Venezia, qualcuno si prenderà cura di te…se
saranno i tuoi cittadini o il mare ad averti, sarà il tempo
a deciderlo».
Appallottolai la carta ingiallita di polvere e piscio e la scaraventai
a qualche metro da me. Parole pesanti, parole dure come pietre per
il cuore di un veneziano, parole in grado di farti cadere. Me ne
andai auspicando che qualcun altro ci sbattesse contro, e non uno,
ma in migliaia dovevano inciamparci sopra.
Pensieri vani, lì in quella via periferica di Mestre c’era
poco da sperare che molti altri leggessero quella pagina. E perché
allora non l’hai raccolta? Potevi gettarla in Centro Storico,
lì forse sarebbe stata una buona semente. Non sarà
stato certo un po’ di puzza di urina a fermarti!
Non so, forse fu la rabbia, forse fu l’offesa ricevuta, non
so bene cosa mi prese. Solo più tardi, dopo due giorni di
incubi e riflessioni, mi detti una risposta…una risposta dura
come quelle righe…una risposta su cui inciampare. L’abbandonai
lì perché i veneziani non avevano diritto di apprendere
da un pezzo di carta pisciata quello che dovevano ben sapere, quello
che ogni giorno è davanti ai loro occhi. Fu un gesto di odio,
non me ne pento.
|