Caro
Force, dopo il felice e inaspettato esordio nel tuo sito, ti affido
queste righe limitandomi ad aggiungere che sorriso e melanconia
sono due malattie che si succedono alternativamente e inesorabilmente
nel nostro animo. Contro di loro non esiste antidoto...e forse è
un bene che sia così.
VENEZIA
AFFONDA
Venezia
affonda sommersa dal costante e giornaliero lavorio dell´inciviltà.
Le bestemmie e i tatuaggi dei gondolieri scrostano i fragili intonaci
mentre le retromarce di taxi esentasse ne scorticano le fondamenta.
Venezia affonda davanti al dubbio di una sigaretta lanciata...in
acqua o per terra?...In acqua, l´acqua cancella. E in acqua
tutto, lavatrici e fazzoletti, benzina e bottigliette, ma solo se
fai pipì ti multano.
Venezia affonda, a fatica sorregge le immondizie di turisti preoccupati
solo di scattar foto e mostrare toraci sudati. Venezia vacilla sotto
le coltellate dell´Amministrazione impegnata a soffocare ogni
respiro giovanile: un rantolo strozzato si ode per le calli, è
il grido spezzato di chi può cantare solo in acustico.
Venezia affonda, un tremito al vibrare di milioni di passi in marcia
verso S. Marco, un pulsare da mal di testa giunge in cima al campanile
dove neanche i piccioni possono più andare a nascondersi.
Venezia affonda tra i tavoli di osterie che non sono più
bettole. Venezia non ci sta e vomita quel vino pregiato: non può
che essere così visto che tradizione e cultura riposano nel
vino da due soldi. Venezia che si sveglia impiastricciata di cocaina
e droghe sintetiche, non più la nausea e il torcistomaco
dei risvegli avvinazzati di un tempo.
Venezia affonda per quel capriccio dei nomi che trasforma la stessa
acqua da 'mare' a 'laguna'. Già la laguna, graffiata nei
suoi fondali dai rastrelli dei vongolari. Venezia,
la pesca il suo passato la chimica il suo presente. I rastrelli
han trovato il compromesso: cercare l´oro marino tra i veleni
di Porto Marghera.
Venezia affonda ricoperta dalle onde in bassa frequenza, telefonini
su telefonini che gracchiano ad insultare i monumenti, internet
e cabernet a confondere le lingue. A Murano non si mangia più
il vetro e perfino il Redentore è fuggito: ha cercato rifugio
alla Giudecca ma non è servito a nulla, anche lì un´antenna,
anche lì la frusta dell’Adriatico. Venezia affonda
stretta nella morsa dei flutti, il mare nemico allunga le sue onde
come dita pronte a graffiarne le strade. Ma è davvero un
nemico? Forse che invece il mare è l´unico amico di
Venezia,
è per questo che la vuole strappare allo scempio di cui è
vittima indifesa? Portarla sul fondo, nasconderla negli abissi,
farne una nuova Atlantide, un mito non più violentabile,
seppellirla in una tomba d´acqua comoda come un soffice letto.
Venezia affonda come è naturale che sia, ma Natura è
nemica di Uomo, e l´uomo vuole strappare Venezia
al suo destino e le impone di non affondare. Il Mose allora, non
risolvere ma tamponare...perché?...per allungarne l´agonia,
soffrire deve Venezia, restare appesa ad una vita vegetale gestita
dalle macchine, eutanasia è peccato. Il Leone Alato seppur
zoppo e inchiodato a terra deve rimanere in vita, il Denaro lo ordina.
Cosa fare allora? Fuggire? Il Lido è una contraddizione,
una lotta tra bagnanti spensierati e residenti da non disturbare.
La Terraferma allora, ma la terraferma non esiste, dopo il Ponte
solo l´oblio. Naufraghi ci ritroviamo, aggrappati a tavole
di legno vecchie di secoli ad aspettare che il mare ci prenda, non
prima però di aver versato un´ultima lacrima, quella
goccia che chiuderà le acque come un addio. Scomparirà
l´angelo d´oro in cima al paron de casa e con esso l´ultimo
ricordo di Venezia: sotto il sole resterà solo una piatta
distesa di Adriatico.
Ex
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