Proprio
una bella idea aveva avuto Renato, decisamente un’ottima idea.
Una gita a Mestre in fin dei conti fa bene anche ad un veneziano
doc. E Renato è un veneziano purosangue, quarantaquattro
anni interamente trascorsi in Isola, salvo rare escursioni in montagna,
al tempo in cui i suoi genitori erano ancora vivi e lui era poco
più di un ragazzo, ricordi lontani, quasi diafani, ma pur
sempre bei ricordi. Quel giorno decise di fare un giro in terraferma,
conosceva quei due o tre posti - piazza Barche, la stazione e Corso
del Popolo - che gli garantivano la serenità del ritorno:
raggiunto uno qualunque di quei luoghi sapeva bene che autobus prendere
per tornare in Isola. Per sentirsi ancor più in gita decise
di prendere il treno, così da immedesimarsi nel comune viaggiatore,
con una meta lontana da raggiungere, ad ore e ore di distanza. Appena
sceso dal treno una zaffata di inquinamento gli assicurò
che era giunto a destinazione. Ora sarebbe uscito e avrebbe imboccato
via Piave, la via che l’avrebbe condotto in centro. Ma quale
fu lo stupore a quella vista! Via Piave era tutta addobbata di festoni,
nessuna automobile poteva transitare e dappertutto gente allegra
in passeggiata. “Che fortuna ho avuto” si disse tutto
allegro, “scelgo di venire a Mestre un giorno in cui c’è
festa”. Ed era ben strano che ci fosse festa, era il 24 giugno,
un giorno estivo, ma nessuna festa comandata. Probabilmente un quotidiano
o una locandina gli avrebbero svelato il perché di quei festeggiamenti,
ma a Renato non importava nulla, era felice che ci fosse allegria
in giro e prese a camminare in mezzo al popolo dei festanti. Odori
di squisitezze come hamburger e kabab giungevano dai locali disseminati
e ornati a festa lungo la grande arteria mestrina. Qui e là
musica, piccoli concertini a distanza l’un l’altro quanto
basta per non infastidirsi a vicenda, camminando si attraversavano
via via i diversi generi musicali venendo cullati da note ora lente
ora dure o melodiche. In ogni dove saltimbanchi, clows, prestigiatori,
insomma tutte le tipologie di artista di strada erano presenti a
ravvivare l’atmosfera. Renato camminava felicemente ipnotizzato
in mezzo a quel paese dei balocchi, fermandosi ora qui ad applaudire
un giocoliere ora là a ballare una cover degli anni settanta.
Dopo un’ora di bagordi, stremato e assetato, si concesse un
kabab e una cocacola. Riprese la passeggiata e quando giunse all’altezza
del PAM si accorse che da lì in poi non c’era più
festa, da lì ci si riemergeva nella caotica quotidianità
di Mestre. Ci pensò su un attimo ma sapeva già a quale
conclusione sarebbe arrivato: “Chi se ne frega del centro,
ci andrò un’altra volta. Oggi voglio restarmene qui,
c’è festa e sarei uno stupido a non parteciparvi”.
Girò i tacchi e si immerse nuovamente nella bolgia dei goliardi.
Ad un tratto un vigile urbano lo fermò e lo invitò
a togliersi dalla strada e guadagnare il marciapiede. Rimase un
attimo interdetto poi capì: dietro le spalle del vigile stava
avanzando un corteo di carri in maschera. “I carri che bello!”
esplose in un urlo di giubilo infantile, “sembrano quelli
che si vedono in tv, quelli di Viareggio!”. Il vigile borbottò
qualcosa al suo indirizzo, ma Renato era già lontano, fermo
sul marciapiede osservava quella sfilata di carri allegorici, tutti
maestosi, decorati alla perfezione con colori vivaci e forme che
rimandavano a personaggi televisivi o eroi dei cartoni animati.
Un autentica emozione lo colse quando vide passare un carro con
sopra il pupazzo di Tex Willer, l’eroe della sua giovinezza.
Ebbro e appagato decise di far rientro a casa, un po’ a malincuore
certo, ma non era più un ragazzino e la stanchezza iniziava
a farsi sentire. Durante il viaggio di ritorno non smise un attimo
di pensare alla bella giornata che aveva trascorso, alla fortuna
di essersi imbattuto in una kermesse del tutto inaspettata al suo
arrivo in terraferma. Giunto a casa prese a raccontare ogni dettaglio
ai suoi coinquilini che, ipnotizzati e incapaci di arrestare quel
fiume in piena, ascoltavano increduli e sbalorditi il racconto dei
carri, dei giocolieri e dei concerti. Il giorno dopo l’eccitazione
si era attenuata ma non si era esaurita del tutto così, lo
stesso racconto fatto ai coinquilini, Renato riferì nuovamente
al suo amico Sergio. Sergio ascoltò con molto interesse la
storia, partecipò all’entusiasmo dell’altro facendogli
domande e stimolandolo a riferire anche il più insignificante
dettaglio. Tutto soddisfatto Renato salutò l’amico
e tornò alle sue faccende quotidiane. Sergio per scrupolo
sfogliò il Gazzettino appena acquistato, spulciò pure
quelli dei giorni addietro ma fu come aveva previsto: non c’era
notizia di alcuna festa. Sergio, il dott. Sergio Pasquali, psichiatra,
sorrise alla storia di Renato, non nuovo a simili fantasticherie:
“Fin che è contento e non si fa male, a me va bene
che sia così”.
Via Piave con addobbi, concerti, saltimbanchi e carri allegorici,
era esistita sullo nella mente di Renato, nella realtà esisteva,
ed esiste, via delle Bagasce con il suo grigiore, l’inquinamento
del traffico, i piccoli delinquenti e un pesante odore di kabab.
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