Il pescatore di Burano
si è comprato le scarpe. “Si è comprato le scarpe!”
la voce serpeggia impazzita tra le calli come un eco che non si
voglia esaurire. Stupore è poco, questa non è una
novità è un evento. Tutti in Isola fanno capolino
a casa sua a curiosare, si congratulano ammirati, qualcuno ad-dirittura
lo invidia. Eh già, fino al giorno prima calzava solo gli
stivaloni, buoni per andare a far vermi in bacan e a non bagnarsi
in pescheria. Finito il lavoro un paio di sandali, buoni per girare
per casa e uscire in strada. E la domenica? Le scarpe per la messa?
Niente, fin da ragazzetto aveva rinunciato al culto…chissà…forse
proprio perché non aveva l’abito adatto. In occasione
di matrimoni o funerali toglie dall’armadio le scarpe del
suo matrimonio, ma a distanza di anni son diventate logore e strette
e van bene solo per un avvenimento straordinario.
“Dove ti va de corsa Nina?”.
“No ti sa!, Sergio se gà tolto e scarpe nove”.
“Giura?! e parché?”.
“El se trasferisse in città”.
“A Venexia!? E a far cossa?”.
“No a Venexia, de più, el va a Marghera ad avorar per
Montedison”.
“E chi xe Montedison?”.
“Queo dee fabbriche”.
“Ahh”.
Non si sa se esser tristi o invidiosi, abbandonare Burano
non è un trauma da poco, però è anche vero
che il Miri, il primo a trasferirsi in terraferma, è tornato
a Pasqua vestito tutto lussuoso, che sembra-va un avvocato altro
che un operaio. Felice? Be’ chi lo sa, il Miri ha sempre avuto
un’espressione impenetrabile e di parole ne dice proprio poche,
ma a vedere com’era vestito…be’ uno che può
vestirsi così come fa a non esser soddisfatto? E poi nessuno
sa cosa significhi depressione, siamo negli anni cinquanta e a Burano
il vaporetto porta sì qualche turista, ma di vocaboli manco
a parlarne…e senza le parole le cose non esistono.
E ben venga un po’ di ammirazione e invidia, oggi è
un gran giorno, il pescatore si trasferisce con la famiglia a Marghera,
la fabbrica è un impiego più sicuro della pesca…e
con dei figli da crescere non si può più rischiare.
Certo la terraferma è una grande incognita, il pescatore
e quasi tutti i suoi paesani non ci hanno mai messo piede, ma quanti
racconti han sentito? Lavoro per tutti, case senza infiltrazioni,
ascensori, grandi supermercati, riscaldamento centralizzato…e
poi c’è il Miri, quello che è tornato a Pasqua,
il Miri vale più di mille chiacchiere.
“Mama vien anca ti, ea casa xe granda, xe nova, ghe sé
el riscaldamento a gasolio…”.
“No fio caro, mi gò da star qua, gò da star
vissin a to papà” e poco importa che il marito, buonanima,
sia da dieci anni sepolto in cimitero…altri tempi quelli,
la fedeltà superava la vita e si faceva beffe di quel modesto
fin che morte non vi separi.
Un martedì mattina il pescatore di Burano lascia l’Isola
tra la commozione dei paesani e l’invidia dei soliti, di quelli
che non riescono a guadagnarsi una vita migliore e vorrebbero che
nessuno ci riuscisse per sentirsi meno meschini. Siamo alla fine
degli anni cinquanta ma tutto è ancora in bianco e nero,
certo le case dell’isola sono dipinte con colori sgargianti
e mai uguali, ma a guardar da fuori tutto appare una scala di grigi.
Sarà la miseria, sarà l’ignoranza, sarà
il silenzio della Laguna rotto solo dal leggero sciabordio delle
onde contro le rive, chissà quale sarà il motivo,
di certo le immagini sono da cartolina edizioni Filippi.
In terraferma le case sono piccionaie, tutte dello stesso color
grigio fumo, in tinta con le fabbriche…tuttavia in terraferma
ci sono i colori. La gente è colorata, le automobili sono
colorate, ci sono le luci intermittenti delle insegne dei negozi…che
sia opera del colorificio? chissà, di fatto la terra-ferma,
malgrado il grigiore dei palazzi, delle strade e delle industrie,
è tutta meravigliosamente colorata.
“Il silenzio qui è un lusso” indovina subito
il pescatore, “il rumore può fare compagnia però,
quanti suoni mai sentiti! quante tonalità che non conoscevo!
Ma manca qualcosa, manca una musica, man-ca la musica…certo!
non si sente lo sciabordio dell’acqua”.
“Ehi amico, sei nuovo?” qualcuno chiede nello spogliatoio
della Montedison.
“Sì, è il mio primo giorno”.
“Immaginavo, hai ancora addosso l’odore del sale”.
Già il sale…una vita in salamoia, tra sale e umidità,
un cocktail micidiale che ti corre su per le ossa e te le sgretola.
“Tu non hai odore invece, a differenza dell’aria che
sa di detersivo”.
“E’ l’inquinamento, ti si attacca addosso senza
che tu te ne accorga. Sei nuovo e riesci ancora a sentire l’odore
dell’aria, tra un paio di giorni il tuo naso diverrà
insensibile, ecco il segnale, significa che ne sei pregno”.
Questa è una delle prime cose che il pescatore impara in
Città. Impara anche ad attraversare la strada, a tenersi
ben saldo al corrimano dell’autobus e, udite udite, impara
perfino a parlare in italiano, mica chissà cosa, ma sempre
una conquista per uno abituato a parlare solo in dialetto. E impara
la lingua perché molti dei suoi colleghi vengono dal sud
Italia e l’italiano è l’unico compromesso possibile
in quella babele di lingue inaccessibili.
“Gò visto do siciliani” in realtà era
uno solo, ma esagerare un po’ non è certo un delitto.
“Giura!?” si incuriosisce la moglie, “e i xe davvero
picoi e neri sti teroni?”.
“Me par proprio de sì”, non si può mica
tradire un’aspettativa.
“E i gaveva ea copola e a lupara?” beata ignoransa.
“No me pareva, ma no gò vardà dentro i stipeti”.
Un paio di mesi dopo arrivano le scarpe nuove, un altro paio!, già,
qui funziona così e si fa presto ad abituarsi al benessere.
Ci si abitua presto a tutto…allo sferragliare dei telai meccanici…alle
auto strombazzanti, impazienti e sfreccianti…alle scarpe nuove…alla
luna di Marghera velata e pallida anche quando il cielo è
limpido…ai colori! al fatto che qui tutto è colorato!
Dopo un anno di assestamento, quando alla meraviglia della novità
subentra la stanchezza dell’abitudine, il pescatore è
arrivato a questa conclusione: “Qui tutto si muove, tutto
corre, e si ostinano a chiamarla terra-ferma”.
Eppure il pescatore avrebbe una via d’uscita, la mamma, santa
donna, ha raggiunto il marito al camposanto e la casa è rimasta
vuota, manca poco alla pensione…allora perché non tornare
a Burano a pescare e a stare in savate? Già, in savate…che
“Ste scarpe sarà anca bee ma e se rompe subito. O peso,
basta che sia un fià fruae che el fio, queo inteigente no
staltro, taca a dir ‘Papà ma come vai in giro? Non
è dignitoso andare in giro con le scarpe in quelle condizioni,
cosa dirà la gen-te?’, e zo che bisogna contentar el
fio e i vissini”. Sono gli anni ottanta, a Burano oramai ci
sono parecchi turisti e di vocaboli ne sono arrivati un’enormità,
persino quelli stranieri! tuttavia Burano ap-pare sempre in bianco
e nero agli occhi di chi sa guardare le cose nelle giuste tonalità.
Ai colori della terraferma, ahimé, non ci si abitua, col
tempo diventano sempre più luminosi e la troppa luce, si
sa, infastidisce gli occhi. Ma ormai è tardi, i bambini sono
cresciuti a Marghera, qui hanno fatto le scuole, hanno gli amici
e i loro giri…a Burano sono nati, vabbe’, ma alla fin
fine sono tornati solo per le feste comandate a trovar la nonna…insomma
la loro vita è qui. Specialmente queo inteigente, lui è
a colori e la terraferma è il suo habitat naturale. L’altro,
pardon staltro, di lui non si capisce molto. Fin da piccolo taciturno
e inespressivo, lo vedevi sorridere solo quando si andava dalla
non-na e prendeva a vagabondare per le calli di Burano. Ora che
è cresciuto è ancora più cupo e solitario,
il pescatore gli vuole bene ma pensa che sia un po’ scemo,
la mamma dice che è solo timido e introverso. A ben guardare
è in bianco e nero, stona terribilmente tra i colori della
terraferma.
E così la casa della nonna è in vendita…non
sono ancora gli anni dei grandi affari immobiliari però un
gruzzoletto ne salterà fuori. Per cosa?...una vacanza a Parigi…magari
un’utilitaria…o cambiare i mobili.
La casa finalmente è stata venduta…sì facile
dire così, risolvere tutto con una frase. Quanto rammarico
per il pescatore nel separarsi dalla casa in cui è nato…dove
ha imparato vogare…a pesca-re…nella Laguna che l’ha
temprato…dove ha vissuto fino alla nascita del secondo figlio…dove
suo padre e sua madre sono morti, in quel letto dove forse anche
lui sarebbe dovuto morire. Tuttavia quel mondo lontano l’ha
temprato non solo nel fisico ma anche nello spirito, non tradisce
nessuna sofferenza, nessuna lacrima gli riga la faccia, sa che ha
fatto la scelta giusta, quella per la famiglia, e questo è
tutto.
Nel bar sotto casa il pescatore si concede un rosso della casa e,
per ammazzare il tempo, scrive sul pacchetto di MS: “Ormai
il mondo è a colori, bisogna farsene una ragione”.
Poi, finito il vino e fu-mata l’ultima sigaretta, il pacchetto
finisce nel cestino.
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